Dopo i successi di critica e di pubblico delle passate stagioni, e l’ultima fatica televisiva, che li ha visti protagonisti in prima serata su Canale 5 con il loro two men show, “Ma chi ce lo doveva dire”, Ficarra & Picone tornano a girare in lungo e largo lo Stivale, con il loro ultimo lavoro teatrale “Sono cose che capitano”, ovvero storie d’amore, di morte e di vita. Anche questa volta, con la loro comicità stralunata, surreale, paradossale e grottesca, ci offrono uno sguardo sul mondo che poi non è così diverso dalla realtà.
Una bella prova sul palcoscenico con un testo che li consacra dei veri e propri attori, allontanandoli dal cliché di cabarettisti “mordi e fuggi”.
Si inizia con l'uomo e le fasi più salienti della sua vita: l'amore perso o da riconquistare; l'amore che ci fa soffrire perché "il difficile non è fidanzarsi ma lasciarsi", l'amore di cui non ci accorgiamo ("io la amo, ma mi guardo in giro e ci sono centinaia di femmine, ed io sono cacciatore"); i meccanismi della vita da single o del rapporto di coppia, rivisto dalla coppia di comici con la simpatia e la freschezza che li contraddistinguono. La morte di un parente può diventare il pretesto per ridere, attraverso la consapevolezza che per andare avanti occorre elaborare il lutto, oppure la nascita di un figlio fa nascere ansie e riflessioni sul futuro.
Una chiusura ideale di questi tre episodi sulle fasi della vita viene affidata alla scena in cui viene ricordato un personaggio importante degli ultimi anni, divenuto un emblema della società civile, che cerca di contrapporsi alla mafia con un arma efficace quale può essere l’amore. Arriva così sullo scena il loro padrino, lo Zio Pino, “malato d’amore”, che proprio per amare troppo ha finito con il lasciarci la pelle, ma grazie alla morte è ritornato a vivere.